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mangiucchiata dai pesci. Puttane anche i pesci.
C era e dormiva. Russando alitava del vino che il freddo inclemente gli
strappava di bocca per farne vapore.  Puttana anche il freddo.  Un plaid lo
scaldava, ma non quanto la stufa, ma non quanto il vino. Era un regalo di un anima
pia. «Sempre sia lodato», «Puttana l anima pia», «Sempre sia puttana».
Un giornale pornografico accuratamente ritagliato aveva fornito i santini che,
fissati con lo scotch sulle pareti di lamiera, sembravano ex voto di tette. Le donne,
prese tutte intere, non lo avevano mai interessato.
Se ti mancano una gamba e un occhio, non pensi al corpo umano come a un
unico blocco. Cominci ad apprezzare i particolari, e allora il corpo è un insieme di
pezzi, alcuni non fondamentali, come un occhio e una gamba, altri utili, come una
mano e un uccello di fronte ai santini di tette. Aveva religiosamente ritagliato le tette
e usato il resto dei corpi di carta per pulirsi il culo e soffiarsi il naso.
C era e dormiva. Sognava. Sognava soldi e tette, insieme. Sulle centomila, nel
sogno, anziché quella faccia di culo coi baffi e col pizzo «Scarafaggio, si chiama, mi
pare», «Puttana scarafaggio» vedeva stampate due tette.
La mano, una mano, forte lo scaraventò fuori dal sidecar, fuori dal sogno. 
Puttana  gridò risvegliandosi.
La mano si chiuse a pugno e il pugno colpì.  Puttana la mano. Puttana anche
il pugno  pensò. La morte acquattata non aveva le tette. Nei fumi dell alcol la
morte aveva solo due mani. Vuote.  No, aspetta  disse alle mani. Ma le mani non
aspettarono. Una lo schiacciò al suolo e l altra raccolse il martello con cui aveva
aggiustato la gamba del tavolo. Mano martello colpì i denti guasti. Mano libera trovò
i chiodi. Che c era da fare? Boh. Pisciarsi addosso, gridando parole che i denti
spezzati segarono. Intanto albeggiava. Se ne accorse quando, sbattuto sul suo
tavolaccio, la gamba già rotta cedette. E un filo di luce dell alba gli entrò come un
chiodo nell orbita vuota. I chiodi rimasti, prescelti da mano martello, bucarono i polsi
e l unico piede sensibile. Lui svenne così, crocifisso.
C era e non dormiva. Non dormiva più. Un ultimo colpo e non c era. Dormiva
però. Dormiva per sempre.
11
Il Nuye mi seguì fino a casa. Barcollavo leggermente, ma con una certa
eleganza. Durante la mia permanenza all Open House una pioggia estiva non era stata
informata che eravamo in dicembre. La strada bagnata alle quattro di notte era fresca
e poco frequentata come un adolescente introversa. Io, che conoscevo i suoi segreti,
mi potevo permettere di percorrerla anche a passo malfermo. Eravamo, come dire,
intimi. Mi sarei goduto la passeggiata se non fosse stato per il Nuye.
Lo sentivo balzare di tetto in tetto, seguendomi come un cane randagio.
Pedinava un passante aspirando a un padrone. Questa era la versione a cui preferivo
credere durante il tragitto. L altra versione, quella prudentemente sepolta sotto litri di
gin tonic, non vedeva il Nuye così disneyano: il Nuye mi stava seguendo per
divorarmi, piccolo e vorace cacciatore di ubriachi. Non avevo nemmeno l arco del
prode Yorisama per difendermi. Costeggiai il parco Solari dove un tossico,
iniettandosi la dose, depistò l attenzione del Nuye. Approfittando del diversivo, corsi
attraverso il parco e sbucai in via Foppa. L avevo seminato quel porco! E poi perché
porco? Quella scimmia, quel tasso, quella tigre, quel serpente bicefalo. Seminato?
Macché. Un Nuye non è un pollo. Avvertii la sua presenza su un tetto di via
Montecatini che dava su via Foppa. Mi aveva preceduto. Mi stava aspettando. Una
volta arrivato a casa constatai che l ascensore era guasto. Al quarto piano di scale a
piedi, l alcol smaltito smise di anestetizzarmi. Avvertii il dolore, il dolore per quelli
che erano morti, per quelli che sarebbero morti e il dolore al ginocchio di un
reumatismo a sorpresa. Prima di andare a letto controllai lo sgabuzzino e l armadio.
Nessuna traccia del Nuye. Come ultima precauzione guardai pure sotto al letto. Bel
trentenne maturo, eh! Il Nuye non c era, probabilmente perché stava albeggiando. In
ogni caso, dato che non possedevo orsi di pezza, né arco e frecce, mi addormentai
abbracciato alla katana, la spada di kendo. Il fodero era un po scomodo, ma sempre
meglio della lama.
Per prima cosa avvisai Pasquale. Mi feci dare il numero del bar dal Servizio
informazioni elenco abbonati della Sip.
 Pronto?
 Pronto, c è Pasquale?
 Chi lo vuole?
 Nicky  una più una meno...
 Pronto!  Pasquale aveva una vocetta fessa. Probabilmente era diventato
così  cattivo proprio a causa della voce. Da ragazzino lo prendevano tutti in giro e
per non sentirsi escluso, aveva preferito aggregarsi ai biliardi e alle calibro nove. Mi
fece uno strano effetto correlare quella voce dal pesante accento siculo allo skater col
rasoio, al Babbo Natale con la pistola. Ma se Lombroso stesso aveva preso una
cantonata coi suoi studi sui lineamenti dei criminali, chi ero io per giudicare un killer
dalla voce?  Pronto, pronto, chi è?  insisteva Pasquale Mezzasalma dal suo bar di
Quarto Oggiaro.
 Sono uno che te l ha giurata, stronzo.
 Cu minchia è?
 Siamo i mastini del Nord, cagasotto. Oggi pomeriggio veniamo a trovarti al
bar per lisciarti il pelo. Fatti trovare con degli amici. Verremo in molti.
 Sugaminchia!  inveì, ma con la vocetta che si ritrovava la sua rabbia non
mi fece nessun effetto.
 Ah, Pasqualino, dimenticavo, è meglio che in quella latrina che chiami bar
non ci siano clienti di passaggio. Noi rompiamo il culo solo a chi se lo merita.  La
seconda telefonata servì a sgravarmi la coscienza dal massacro annunciato che stavo
organizzando. Recuperai anche questo numero col provvidenziale  12 .
 Pronto?  era una voce che conoscevo.
 Signora Selvino, sono Leone Pavesi, un amico di Gino. Si ricorda di me?
 Certo. Sta bene? Il Gino è ancora sottosopra dopo il funerale. Sapesse come
ha sofferto.
 Lo so signora, lo so.
 Aspetta che ci chiamo il Gino.
 Pronto?
 Ciao Gino, ci siamo visti a un funerale, ricordi? Bene, ascoltami: sto per
salvarti la vita. Di te non me ne frega niente, ma diciamo che lo faccio per tua madre
e per Concetta. Oggi pomeriggio sparisci. I tuoi amici mastini del Nord faranno visita
al Bar Pasquale. Scorrerà del sangue, credo. Se ti chiamano per arruolarti in questa
spedizione punitiva, fai dire a tua madre che non ci sei. Afferrato? Bacioni Gino e
ricordati che ti tengo d occhio. [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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